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Mascherina Sospesa, Avvocato di Strada: donazioni di mascherine e disinfettanti per i senzatetto

Scopri di più sulla campagna Mascherina Sospesa, lanciata da Avvocato di Strada, grazie alla quale donare mascherine e gel a chi vive in strada.

Antonio Mumolo, Presidente di Avvocato di Strada

È lo studio legale associato più grande di Italia. Con 55 sedi in diverse città del Paese e oltre 1.000 avvocati volontari, l’associazione nazionale Avvocato di Strada Onlus offre tutela legale gratuita delle persone senza dimora. Nel 2019 sono stati ben 4.000 gli assistiti.
Da qualche settimana Avvocato di Strada ha lanciato la campagna, che durerà fino al prossimo 31 gennaio, della mascherina e del gel disinfettante «sospesi». L’iniziativa, mutuata dalla tradizione napoletana di lasciare una tazzina di caffè già pagata al bar per chi non può permettersela, permetterà ai cittadini più solidali di acquistare dispositivi di protezione individuale e igienizzanti per altri e lasciarli nelle farmacie e nelle tabaccherie che aderiscono all’iniziativa. Saranno poi i volontari a raccoglierli e distribuirli a chi non ha un tetto per ripararsi nemmeno a Natale.
Ne parliamo con Antonio Mumolo, avvocato giuslavorista, consigliere regionale dell’Emilia-Romagna e presidente nazionale di Avvocato di Strada. Da socio fondatore di Piazza Grandeil primo giornale di strada italiano scritto, redatto e diffuso a Bologna da persone senza dimora –,  fondò l’associazione nel 2000 insieme ad una collega specializzata in diritto penale.

Intervista ad Antonio Mumolo, Presidente di Avvocato di Strada

Come è nata l’idea della mascherina sospesa?
«L’idea è nata purtroppo dalla constatazione di un fatto: il virus non è democratico. Come accade per ogni crisi, anche in questa pandemia a pagare il prezzo maggiore sono i più poveri. Ce lo ricorda Bertold Brecht nella poesia La guerra che verrà: anche alla fine dell’ultimo conflitto mondiale ci furono vincitori e vinti ma appartenere alla prima categoria o alla seconda per la povera gente non ha mai fatto nessuna differenza: in entrambi i casi, sia che avesse vinto o perso la guerra, cibo per sfamarsi non ne aveva. Allo stesso modo, il Covid ha colpito la povertà due volte, in particolare chi era già senza fissa dimora e chi, perdendo tutto, è finito in strada».

Qual è la criticità maggiore che si trova ad affrontare chi non ha una casa?
«Nella maggior parte dei casi si tratta di soggetti che non hanno una residenza e, dunque, che non possono usufruire dell’assistenza sanitaria nazionale. Non hanno, dunque, un medico di base e hanno diritto solo alle prestazioni di pronto soccorso; un vero paradosso se si considera che ora, in epoca Covid, è fortemente sconsigliato recarvisi».

E come sono stati gestiti i contagi fra chi non ha una dimora?
«Con grandissimi problemi. Nei dormitori, che aprono solo la sera, si sono sviluppati numerosi focolai poiché in quelle strutture è molto difficile mantenere le distanze e perché durante la giornata gli ospiti sono sempre in strada. Ora con il piano freddo, che a Bologna come in molte altre città prevede tamponi per le persone accolte, va un po’ meglio. Durante il lockdown, invece, la chiusura di molti servizi, dalle mense ai dormitori, ha significato la perdita di fondamentali punti di riferimento e sostegno. Noi stessi, in quasi tutte le città in cui siamo presenti, abbiamo dovuto ridurre o sospendere i ricevimenti. Centinaia di senza tetto sono stati denunciati e multati  perché erano in strada. Peccato che per loro l’invito a restare a casa non aveva alcun senso».

Queste multe sono state impugnate?
«Certamente. Abbiamo fatto diversi ricorsi alle Prefetture italiane. È  proprio di qualche settimana fa la notizia del primo ricorso vinto e che si è risolto con l’annullamento dell’ammenda comminata ad un clochard che, durante il lockdown, una sera si spostava in bicicletta, indossando guanti e mascherina. Era in strada perché aveva paura di trascorrere la notte in un dormitorio troppo affollato».

Indicativamente, quanti sono i senza fissa dimora nel nostro Paese?
«Secondo l’ultimo rapporto diffuso da Istat e Caritas sono oltre 60 mila gli individui che vivono per strada».

Ci sono, quindi, 60 mila italiani senza medico di base? L’articolo 32 della Costituzione non prevede che la Repubblica italiana tuteli la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività?
«Come Avvocato di Strada abbiamo scritto al presidente del Consiglio dei ministri, a tutti i presidenti di Regione e ai sindaci affinché il diritto alla salute sia garantito a tutti, nessuno escluso. Sono tre le cose che chiediamo per i senza fissa dimora. Prima: smettete di fare multe. Seconda: trovate soluzioni abitative per assicurargli un tetto. Terza: assegnare loro un medico di base. In questo particolare momento di emergenza sanitaria sono le USCA, le unità speciali di continuità assistenziali, ad occuparsene ma serve una soluzione che sia finalmente definiva».

Un appello per questo Natale?
«Chiediamo alle farmacie e alle tabaccherie di tutta Italia, che resteranno aperte anche nei giorni “rossi”, di darci la disponibilità ad aderire alla raccolta delle mascherine sospese, scrivendo all’indirizzo di posta elettronica: emergenza@avvocatodistrada.it. Ai cittadini chiediamo invece di donare dispositivi di protezione individuali, guanti e gel igienizzanti a chi non può permetterseli. Indirettamente, aiuteranno anche noi dell’associazione Avvocato di Strada a proseguire l’attività di assistenza legale gratuita, proteggendo gli assistiti dentro e fuori dai nostri sportelli».

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