Archeoplastica: Enzo Suma ci racconta il suo progetto
Cosa ci rivelano i rifiuti che troviamo sulla spiaggia? Per rispondere a questa domanda abbiamo intervistato Enzo Suma, fondatore di Archeoplastica, un progetto che vuole far luce sul mare di plastica che inquina il Mediterraneo.
1. Archeoplastica: qual è stata la scintilla che ti ha portato a ideare questo progetto?
La scintilla è scattata quando ho ritrovato un flacone-rifiuto in spiaggia che riportava ancora il prezzo in lire e ho condiviso il contenuto sui social: leggendo i commenti degli utenti ho capito che questo tipo di contenitori esercitavano un certo interesse sulle persone, soprattutto per quello che l’oggetto rappresentava in merito al tema dell’inquinamento della plastica in mare.
In quel caso, il flacone ritrovato aveva all’incirca 50 anni e, nonostante gli acciacchi dovuti all’erosione e alla grafica rovinata, era fisicamente integro: vedere un rifiuto così vecchio ha suscitato un impatto emotivo più profondo, anche sull’osservatore. Da quel momento è cambiato il mio modo di raccogliere i rifiuti in plastica e ho iniziato a controllare l’etichetta, la provenienza e datazione degli oggetti che rinvenivo.
Ilprogetto di Archeoplasticaha iniziato a prendere più concretamente forma al terzo ritrovamento: in quel frangente ho capito che se mi fossi messo a raccogliere con costanza avrei potuto conservare un bel po’ di reperti, cioè di rifiuti datati, per poterli mostrare sia sui social sia nella realtà, grazie a delle mostre fisiche.
2. Come si sviluppa questa iniziativa? Finora quanti “reperti plastici” hai raccolto?
Questa iniziativa risale a qualche anno fa, quando ho trovato il primo rifiuto plastico. Nel frattempo, ho rinvenuto e conservato un bel po’ di contenitori, anche interessanti dal punto di vista espositivo. Tutti gli oggetti che ho raccolto sono stati restituiti dalmare: infatti, possiamo considerare Archeoplastica un museo virtuale e fisico di rifiuti datati e antichi arrivati dal mare e raccolti in spiaggia. Questa è stata l’idea iniziale che ho poi strutturato più nel dettaglio, al fine di coinvolgere più persone possibili.
Grazie alla mia presenza sul territorio e alle tematiche ambientali di cui mi occupo ho potuto contare sul sostegno di molte persone che già mi conoscevano a livello locale e nel 2021 ho lanciato la mia campagna di crowdfunding che ha ricevuto il supporto di circa 260 donatori.
Quella prima raccolta fondi ha permesso al progetto Archeoplastica di partire e di realizzare il sito, il museo virtuale e le teche per l’esposizione nelle scuole. Il nostro prossimo passo sarà quello di far conoscere l’iniziativa anche al di fuori dei confini pugliesi.
3. Una volta rinvenuti, gli oggetti in plastica vengono esposti nel “Museo degli antichi rifiuti spiaggiati”: ci racconteresti di cosa si tratta?
Il “Museo degli antichi rifiuti spiaggiati” si compone di una parte fisica, costituita dalle mostre sul territorio e da una virtuale, formata dal sito.
Quest’ultima sezione sta per entrare in una nuova fase, in cui sarà possibile visionare virtualmente tanti altri rifiuti datati che abbiamo raccolto e di cui abbiamo ricostruito le singole storie. Il sostegno dei follower di Archeoplastica su Instagram è stato fondamentale: le intuizioni e i ricordi di chi ci segue sono stati molto preziosi nel determinare il passato di oggetti che altrimenti sarebbe stato impossibile recuperare.
La parte fisica, invece, si traduce nell’esposizione reale di questi rifiuti datati. In questo caso la presenza dei nostri partner è stata importante perché ci ha permesso di crescere dal punto di vista museale e condividere il nostro messaggio in un modo ancora più efficace.
Il nostro obiettivo, ora, è fare il possibile per organizzare mostre non solo a livello locale, ma che possano raggiungere tutte le regioni d’Italia.
4. Il tuo è un vero e proprio lavoro di ricerca e datazione. Come riesci a ricostruire la storia dei “rifiuti archeoplastici”?
In base all’esperienza che ho acquisito finora riesco in modo abbastanza immediato a capire se si tratta di un rifiuto datato o meno. Il primo passo è l’esame visivo e consiste nell’osservazione di alcuni elementi presenti sul rifiuto plastico, come:
- grafica: se questa è direttamente stampata sulla plastica e risulta in rilievo probabilmente siamo di fronte a una delle tipologie più vecchie di reperto archeoplastico, databile intorno agli anni ’60 e ’70. Se invece la grafica è adesiva, molto probabilmente ci troveremo di fronte a un rifiuto attuale.
- Dettagli sul retro del prodotto: alcune informazioni riportate, come il prezzo in lire o il riferimento ad alcune tasse come nel caso dell’IGE o del dazio (presenti prima che fosse introdotta l’IVA nel ’73) ci permettono di ottenere indicazioni temporali precise.
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Ecco come appare oggi un flacone di spuma solare spray degli anni ’70, ritrovato in spiaggia.
Successivamente, dopo aver preso in esame l’estetica e il design del flacone, subentra l’attività di ricerca sulla pubblicità d’epoca: in questa fase mi avvalgo dell’uso dei motori di ricerca e nella maggioranza dei casi è possibile rintracciare la réclame di quando quel determinato contenitore-prodotto era in commercio. Anche l’analisi del testo è importante, perché può fornire spunti interessanti per identificare l’oggetto in questione.
Infine, ultima ed essenziale risorsa è la community social: più siamo, più probabilità ci sono che una persona possa riconoscerlo.
È accaduto, ad esempio, con un flacone che inizialmente ci sembrava la statuetta di un clown. Sapevamo soltanto che era greco per via delle scritte riportate sul fondo. Grazie al contributo di una nostra follower siamo risaliti a un personaggio che era noto come il “ragazzino Fino” e che teneva in mano un barattolo di miele.
Siamo quindi riusciti a contattare l’azienda greca produttrice: quell’oggetto non era mai commercializzato in Italia, eppure è arrivato in una spiaggia in provincia di Lecce.
5. Qual è l’oggetto più strano e bizzarro che il mare ti ha restituito?
Sicuramente l’oggetto più bizzarro che mi ha consegnato il mare l’ho trovato nel 2019 in una caletta a Ostuni.
Il reperto rappresentava un signore in frac con una gobba e, a primo impatto, sembrava un contenitore per via della parte in alto che sembrava un tappo.
Per un anno non ne abbiamo saputo nulla poi, in seguito a un servizio realizzato dal TG1 e dedicato ad Archeoplastica, una ragazza che ci seguiva lo ha riconosciuto: era lo stesso che i suoi nonni avevano vinto a una fiera locale del paese nella metà degli anni ’60.
Le informazioni a disposizione ci hanno portato a supporre che potesse trattarsi di un giocattolo o di un salvadanaio, ma per arrivare a questa conclusione ci abbiamo impiegato molto tempo, anche perché il mare trasforma questi oggetti e ce li restituisce alterati – a volte con incrostazioni e piccoli danni – e per questo motivo il processo di identificazione è molto più complesso.
6. Utilizzo consapevole e sostenibile della plastica: quali consigli puoi dare ai lettori di Clic?
In primis, raccomanderei di usare il meno possibile la plastica e ridurne l’utilizzo allo stretto necessario, perché siamo portati ad abusare di questo materiale per prodotti che durano pochissimo e sono per lo più “usa e getta”.
Tra le azioni più immediate, per iniziare a cambiare il nostro atteggiamento, possiamo:
- Bere l’acqua del rubinetto: solo eliminando l’acqua in bottiglia possiamo risparmiare qualche centinaio di rifiuti in plastica all’anno, per persona.
- Utilizzare materiali alternativi: in commercio ormai si trovano prodotti realizzati in maniera più sostenibile, che non prevedono plastica nel packaging.
- Ridurre il consumo di plastica monouso: il problema non è il materiale in sé, che è eccezionale, ma l’usa e getta.
Se iniziassimo a guardare alla plastica e ai prodotti che consumiamo in maniera diversa, più consapevole, ci renderemmo conto che ognuno di noi può fare tantissimo, a partire dagli aspetti più semplici.
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