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La Lingua Italiana oggi nell’era dei Social: intervista all’Accademia della Crusca.

L’italiano è una lingua viva, perché cambia insieme a noi. Come si sta trasformando nell’era digitale? Lo abbiamo chiesto a chi ogni giorno accende le nostre menti con pillole di divulgazione linguistica: Stefania Iannizzotto, social media manager dell’Accademia della Crusca.

La lingua Italiana di oggi secondo la Crusca: risponde Stefania Iannizzotto

Stefania Iannizzotto risponde alle nostre domande sulla relazione tra lingua e social network

Quanto è accesa la curiosità verso la lingua italiana anche sui social?

Sui social sembra che ci sia poco interesse per la lingua italiana e per la sua forma in generale (in favore magari di contenuti visivi) e che la gente non sappia scrivere bene, ma questa percezione è dovuta alla grande quantità di materiale scritto che grazie ai social è alla portata di tutti.

In realtà in rete c’è anche molta “fame” di conoscenza linguistica. Da subito i nostri social hanno ottenuto un buon successo di fan e follower: la Crusca è riconosciuta come fonte autorevole in materia di lingua e di norma e quindi in molti sono stati contenti di trovarci in rete e di potersi rivolgere direttamente a noi.  

 

Ci sono parole più energiche di altre, o siamo noi a dare energia alle parole?

Le parole ci rappresentano, scegliamo quelle che riteniamo possano esprimere meglio quello che vogliamo dire di noi, degli altri e di quello che pensiamo: quanto più crediamo in quello che vogliamo dire o scrivere, quanta più cura mettiamo nel dirlo o nello scriverlo, tanto più diamo energia e valore alle parole di cui ci siamo serviti.

Certo ci sono le parole poeticissime e piacevolissime care a Leopardi e ci sono quelle necessarie, i termini precisi, determinati: le scegliamo in base ai nostri bisogni comunicativi. Più leggiamo, più ne conosciamo e più saremo capaci di aderire con le parole alla nostra realtà e di renderla chiara ed evidente agli altri.

 

Un suggerimento per dare “più gas” alle nostre parole?

Leggere tanto, non solo per scoprire nuove parole, ma anche parole simili a quelle che conosciamo ma più adeguate alla situazione comunicativa, che ci permettono di variare in maniera consapevole il registro linguistico. Cerco di spiegarmi un po’ meglio.

La lingua è un codice che cambia nel tempo, nello spazio e si adatta al contesto in cui avviene la comunicazione e cambia in base al destinatario, alla persona a cui ci rivolgiamo (fra amici o durante una riunione di lavoro, per esempio). Possiamo dire la stessa cosa nella stessa lingua usando parole o espressioni diverse, più o meno sorvegliate e più o meno precise. Ecco, usare le giuste parole nel contesto adeguato le “rigenera”.

 

I social network stanno “minacciando” la biodiversità linguistica, penalizzando le lingue minori, o sono solo lo specchio di ciò che sta già succedendo offline?

I social network sono un altro spazio in cui possiamo esprimerci proprio come desideriamo, anzi molte espressioni e termini dialettali o regionali trovano posto negli scambi in rete perché sono divertenti e a volte sono molto più “espressivi”, perché ci identificano meglio – quindi perché rinunciarci? Ai fiorentini garbano le cose, il daje romanesco è ormai diffusissimo e anche tanti sicilianismi circolano liberamente in rete e perfino nella nostra pagina Facebook (in effetti sono un po’ di parte!).

La nostra rubrica estiva pomeridiana si chiama #Leparoledelmare: attraverso le carte linguistiche che concludono il bel volume di Elena D’Avenia “Il lessico del mare”, che fa parte della sezione marinara dell’Atlante Linguistico della Sicilia (ALS), nel mese di agosto abbiamo scoperto espressioni e termini marinareschi siciliani. Naturalmente i lettori delle altre regioni d’Italia hanno aggiunto nei commenti espressioni e termini corrispondenti nei loro dialetti: sono sempre scambi molto interessanti e anche divertenti!  

 

Secondo le tue osservazioni, parole quali “sostenibilità” ed “energie sostenibili” stanno diventando di uso più comune?

Mi sembra di poter dire di sì, anche se forse ancora non abbastanza. Anche su questo la Crusca ha cercato di fare la sua parte almeno per quel che riguarda la sensibilizzazione sul risparmio energetico e la sostenibilità.

Vi racconto brevemente una piccola, ma importante, collaborazione che qualche anno fa ha coinvolto la Crusca e l’ENEA (Agenzia Nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile), che ha avuto un po’ di visibilità in rete. L’iniziativa faceva parte della Campagna d’informazione sull’efficienza energetica condotta dall’ENEA, che ha chiesto la collaborazione dell’Accademia e del programma Caterpillar Radio Due, noto per il suo impegno sui temi della sostenibilità (soprattutto grazie all’iniziativa M’illumino di meno).

Venerdì 31 marzo 2017, le pagine social dell’ENEA e dell’Accademia della Crusca avevano annunciato la nascita di una nuova applicazione con un post in cui si leggeva #ChargeMe: La batteria del cellulare si ricarica ‘a parole’.

L’applicazione avrebbe permesso di ricaricare a distanza le batterie degli smartphone grazie a un algoritmo sviluppato dagli esperti dell’Accademia. Un secondo post, in rete dal 1° aprile, rimandava alla pagina da cui scaricare l’applicazione: dal collegamento indicato non si accedeva naturalmente a nessuna applicazione, ma a una lista di dieci parole legate alla questione del risparmio energetico.

Con questi post l’ENEA e la Crusca avevano voluto scherzare con i propri lettori preparando loro un pesce d’aprile: lo scopo era quello di attirare l’attenzione sull’importanza dell’efficienza energetica e del consumo consapevole.

 

Abbiamo notato che nell’ambito delle conversazioni sulla sostenibilità, la maggior parte delle campagne sono in inglese. È un modo per renderle il più trasversale possibile o è un sintomo di un disinteresse da parte degli italiani?

Non credo che usare l’inglese per rendere una campagna più “trasversale” significhi renderla comprensibile a tutti. Quindi forse più che di disinteresse da parte degli italiani potrebbe trattarsi di una mancata comunicazione o di una comunicazione poco efficace: le persone avranno capito bene quello che volevano dirgli?

Torniamo alla lista di dieci parole legate alla questione del risparmio energetico che avevamo proposto per la campagna con l’Enea e che avevamo pubblicato anche nella nostra pagina Facebook con questo titolo: L’energia parla italiano.
Ciascuna delle parole della lista è stata corredata di una breve nota linguistica. Si è preferito, nei casi di parole inglesi, fornire un traducente italiano, nella convinzione che espressioni più vicine alla lingua di tutti siano più adatte a veicolare un messaggio d’interesse sociale. L’album pubblicato su Facebook raccoglie dieci cartoline realizzate dall’ufficio stampa dell’ENEA con la definizione di dieci parole che possono aiutare a risparmiare energia. L’idea di fondo è appunto che sia importante conoscerle e usarle bene per coinvolgere gli altri e migliorare insieme il nostro futuro.

 

Nell’era digitale, abbiamo reso le parole un’appendice delle immagini?

Le immagini hanno sicuramente una grande importanza in rete, ma le parole restano comunque il vero cuore della comunicazione. Una prova? Pensiamo a cosa succede quando queste parole vengono “maltrattate”. Lo stigma sociale per gli errori di lingua è sempre molto forte. L’accademico Luca Serianni nel nostro sito scrive: «Un errore di ortografia […] può squalificare culturalmente chi lo commette: ci fideremmo davvero di un avvocato o di un medico che scrivessero ‘a’ invece di ‘ha’ e ‘coleggio’ invece di ‘collegio’? Probabilmente ci verrebbe il sospetto che siano altrettanto precarie le rispettive conoscenze in diritto processuale o in anatomia patologica».

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